La previdenza complementare è il secondo pilastro del sistema pensionistico italiano e affianca la pensione obbligatoria erogata dall’INPS. Consiste in versamenti volontari (anche tramite TFR) che vengono investiti per costruire un capitale da trasformare, al momento del ritiro dal lavoro, in rendita vitalizia o in parte in capitale. 

Nel 2025 il tema è ancora più centrale: secondo i dati COVIP, a fine 2024 gli iscritti ai fondi pensione hanno sfiorato i 10 milioni (+4% rispetto al 2023). Parallelamente, l’INPS ha rivisto i coefficienti di trasformazione al ribasso e ha confermato una rivalutazione delle pensioni pubbliche contenuta allo 0,8%.  

Questi fattori hanno reso la previdenza complementare uno strumento fondamentale per garantire stabilità economica futura.

La previdenza complementare si articola in tre fasi principali: 

  1. Accumulo – durante la carriera lavorativa versi contributi volontari o destini il TFR al fondo. Nei fondi negoziali, spesso, partecipa anche il datore di lavoro. 
  2. Gestione e rivalutazione – i contributi vengono investiti in comparti diversi (prudente, bilanciato, dinamico, Life Cycle), con la possibilità di modificare nel tempo il profilo scelto. I gestori sono sottoposti alla vigilanza della COVIP e devono rendicontare i risultati periodicamente. 
  3. Prestazioni – al pensionamento il capitale accumulato si trasforma in rendita vitalizia, riscattabile in parte come capitale (entro i limiti di legge), o in una combinazione delle due opzioni. 

 

Nel 2025, con la Legge di Bilancio, sono state introdotte due nuove misure importanti:  

  • Maggiore trasparenza sui costi – i fondi pensione devono ora comunicare in modo chiaro tutte le voci di spesa (commissioni, costi di adesione, costi di switch), per permettere agli iscritti di confrontare facilmente i prodotti. Questo aiuta a scegliere con consapevolezza, limitando l’impatto dei costi sul rendimento. L’obiettivo è allinearsi al modello del KID (Key Information Document) già in uso per altri strumenti finanziari; 
  • Contributo al requisito per la pensione anticipata contributiva: dal 2025 la posizione individuale maturata nel fondo pensione può essere considerata, entro certi limiti, per raggiungere la soglia minima necessaria ad accedere alla pensione anticipata contributiva (64 anni con almeno 20 anni di contributi). In questo modo, la previdenza complementare diventa anche un alleato per anticipare l’uscita dal lavoro.

 

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La previdenza complementare è accessibile a tutti: 

  • Lavoratori dipendenti del settore privato e pubblico, 
  • Lavoratori autonomi e liberi professionisti, 
  • Soggetti fiscalmente a carico, come studenti e figli, 
  • Chi non ha ancora un’occupazione stabile ma vuole avviare un piano pensionistico personale. 

 

Negli ultimi anni è cresciuta in modo significativo l’adesione dei giovani under 35. Secondo la COVIP, il peso dei giovani iscritti è salito dal 17,6% del 2019 al 19,9% del 2024, segnale che sempre più ragazzi scelgono di avviare un fondo pensione nei primi anni di carriera. 

A favorire questa crescita contribuiscono anche delle campagne di educazione previdenziale promosse da COVIP e Ministero del Lavoro ed iniziative regionali come il fondo pensione dalla nascita, della Regione del Trentino-Alto Adige, che prevede un contributo iniziale alla nascita, oltre alla possibilità per i genitori di aprire fondi per i figli beneficiando delle deduzioni fiscali.

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è la somma che ogni lavoratore dipendente matura mese per mese e che viene accantonata dal datore di lavoro. Al momento dell’uscita dall’azienda o della pensione, il TFR viene liquidato al dipendente. 

Quando entri in un nuovo rapporto di lavoro, puoi scegliere se: 

  • Lasciare il TFR in azienda: in questo caso il capitale si rivaluta ogni anno con un tasso fisso dell’1,5% più il 75% dell’inflazione registrata. È una forma di rivalutazione garantita, ma poco flessibile; 
  • Conferire il TFR a un fondo pensione: in questo caso il TFR diventa parte integrante della tua posizione previdenziale, viene gestito in modo professionale insieme agli altri contributi e beneficia di una tassazione agevolata sulle prestazioni (aliquota dal 15% al 9% in base agli anni di partecipazione).

 

Scopri quando conviene lasciare il TFR in azienda e quando investirlo nel fondo pensione.

Nel 2024 l’inflazione ha superato il 5%, facendo crescere la rivalutazione del TFR lasciato in azienda, ma non abbastanza da rendere questa opzione competitiva rispetto ai fondi pensione. Infatti, i comparti bilanciati e dinamici dei fondi hanno registrato rendimenti medi superiori, in alcuni casi oltre il 6-7%. 

Inoltre, il TFR conferito a un fondo pensione non solo partecipa ai rendimenti finanziari, ma gode anche della fiscalità più favorevole

  • Il TFR liquidato direttamente dall’azienda è tassato con l’aliquota media del lavoratore (più alta), 
  • Il TFR maturato in un fondo pensione è tassato in modo agevolato, con una riduzione progressiva dal 15% al 9% dopo 35 anni di adesione. 

 

Per questi motivi, oggigiorno destinare il TFR a un fondo pensione rappresenta una scelta più vantaggiosa per la maggior parte dei lavoratori, soprattutto in un contesto di inflazione elevata e di rendimenti positivi dei mercati finanziari.

Aderire a un fondo pensione significa beneficiare di diversi vantaggi: 

  • Integrazione della pensione pubblica; 
  • Deducibilità dei contributi fino a 5.164 € l’anno; 
  • Flessibilità nei versamenti e nella scelta dei comparti; 
  • Possibilità di anticipazioni (75% per spese sanitarie, 30% per prima casa o ristrutturazioni); 
  • Tutela per i familiari in caso di decesso.

In Italia esistono diverse forme di previdenza complementare, create per adattarsi alle differenti tipologie di lavoratori e alle loro esigenze: 

  • Fondi pensione negoziali: sono fondi collettivi istituiti dai contratti nazionali di lavoro o dagli accordi sindacali. Hanno costi di gestione generalmente contenuti e in molti casi prevedono il versamento di un contributo aggiuntivo da parte del datore di lavoro, che integra quanto versa il dipendente. Sono particolarmente diffusi tra i lavoratori dipendenti del settore privato. 
  • Fondi pensione aperti: gestiti da banche, assicurazioni e società di gestione del risparmio (SGR). Possono aderirvi sia singoli lavoratori che gruppi (ad esempio categorie professionali). Sono più flessibili rispetto ai fondi negoziali, ma in genere hanno costi di gestione leggermente più alti. 
  • PIP (Piani Individuali Pensionistici): sono contratti di assicurazione sulla vita a finalità previdenziale. Consentono la massima personalizzazione: l’aderente può scegliere importo, frequenza dei versamenti e comparto di investimento. Sono molto utilizzati dai lavoratori autonomi e dai professionisti che non hanno accesso ai fondi negoziali. 
  • Fondi preesistenti: già attivi prima della riforma del 1993, oggi non sono più sottoscrivibili, ma continuano a operare per chi vi aveva aderito. Riguardano principalmente grandi aziende o enti che avevano già attivato forme pensionistiche interne.

Il rendimento di un fondo pensione dipende da variabili come: 

  • il comparto di investimento scelto (prudente, bilanciato, dinamico, Life Cycle); 
  • l’orizzonte temporale; 
  • la regolarità dei versamenti; 
  • l’andamento dei mercati finanziari. 

 

A questi si aggiunge il vantaggio della fiscalità agevolata: i rendimenti dei fondi pensione sono tassati al 20% (12,5% per i titoli di Stato), contro il 26% previsto per la maggior parte degli altri strumenti finanziari.

Prima si aderisce, più forte è l’effetto della capitalizzazione composta: anche piccoli importi versati regolarmente per un lungo periodo generano un montante molto più elevato rispetto a chi inizia più tardi con contributi maggiori. 

Esempio: un 30enne che versa 50 € al mese fino alla pensione accumula un capitale paragonabile o superiore a quello di un 45enne che inizia con 150 € al mese, grazie al maggior tempo di crescita degli interessi.

Spesso i termini previdenza complementare e pensione integrativa vengono usati come sinonimi, ma è utile chiarire: 

  • Con previdenza complementare si intende l’intero sistema di strumenti che integrano la pensione pubblica, disciplinato dalla normativa italiana. Comprende quindi fondi negoziali, fondi aperti, PIP e fondi preesistenti; 
  • Con pensione integrativa ci si riferisce al risultato concreto dell’adesione: cioè la rendita o il capitale che riceverai al momento del pensionamento grazie ai contributi versati e ai rendimenti maturati.

 

In altre parole, la previdenza complementare è il mezzo, mentre la pensione integrativa è il fine.  

Entrambi i concetti si completano e fanno parte della stessa logica: costruire un secondo pilastro pensionistico che affianchi quello pubblico

La previdenza complementare rappresenta uno strumento ormai imprescindibile per chi desidera garantirsi un futuro sereno e mantenere il proprio tenore di vita una volta terminata l’attività lavorativa. Le novità normative hanno reso il sistema più trasparente e flessibile, i rendimenti medi dei fondi continuano a essere competitivi e i vantaggi fiscali rimangono tra i più rilevanti del panorama finanziario italiano. 

Che si tratti di destinare il TFR, di aderire a un fondo negoziale, a un PIP o a un fondo aperto, ogni scelta contribuisce a costruire una pensione integrativa in grado di colmare il divario sempre più ampio tra reddito da lavoro e pensione pubblica. 

Il consiglio è di iniziare il prima possibile, anche con piccoli importi, sfruttando la forza della capitalizzazione composta e le agevolazioni fiscali. 

 In questo modo, la previdenza complementare non sarà solo una scelta finanziaria, ma un vero e proprio investimento sulla qualità della vita futura